By Megan Carney
(Traduzione italiana qui sotto)
Since early 2013, I have been studying local responses to migration in the Mediterranean with a regional focus on Sicily. As an anthropologist, I have conducted several phases of ethnographic fieldwork with various NGOs, government agencies, humanitarian workers, and grassroots activists as they organize around an ethos of social solidarity, even as they risk being criminalized in the process. One aspect of this research has entailed examining the ways that migrant youth engage with or resist state-sponsored and institutionalized forms of reception, as well as how they enact solidarities with each other and siciliani.
“I enrolled into school, something that I would have never been able to do in Africa. I finished high school thanks to them. Who knows? Tomorrow I might become a great doctor in Europe!” — 18 year-old Omar, addressing a Palermo audience following the screening of Io Sono Qui, a documentary in which he is one of the main subjects.
With the impending closure of migrant reception centers across Italy – such as the one at Castelnuovo di Porto that is displacing more than 500 residents and 100 center workers –anxieties abound over where evicted residents will go next, what employment alternatives will exist for center workers, and what the future will look like for Italy’s entire reception system. It is precisely in this context of heightened uncertainty, and hostility toward migrant populations more broadly, that forms of media seeking to highlight other aspects of migration have gained newfound significance. The film Io Sono Qui by Sicilian director Gabriele Gravagna represents one such form.
The film tells the story of three migrant youth – Omar, Dine, and Magassouba – who arrived to Sicily as migranti minori non accompagnati (unaccompanied migrant minors) after long and difficult journeys through the Saharan desert and across the Mediterranean. The three youths narrate their own experiences of migration; of Palermo youth reception centers; and of adjusting to life in Italy.
A trailer for the film begins with one of the three youth narrating in Italian, “You cannot begin to imagine the significance… of me beginning to recount this experience.” Translated as I am here, the title Io Sono Qui suggests that the voices of the three migrant youth shape the narrative of the film. Rather than being relegated as secondary characters within the narratives of “crisis” that have defined much of the mainstream coverage on recent migration into Italy and the EU, these three youths are the central focus of the film.
Palermo in particular and Sicily in general have been extremely vocal in opposing anti-immigrant legislation proposed and enforced by Italy’s populist government. In early January 2019, the mayor of Palermo, Leoluca Orlando announced that he would not be enforcing the new “security decree” that had been approved by the national government in December 2018, citing concerns that it will exclude migrants from health care, jobs, and schooling. Several mayors across Italy have since followed in his footsteps.
In May 2017, I attended the second public screening of Io Sono Qui at one of Palermo’s theaters. I had met the film’s protagonists some hours prior to the screening, as they were all residents at one center for youth reception where I had been conducting research. They came looking for the director of the center, who had promised them a ride to the screening that day as they were invited to participate in a question-and-answer session after the film. They appeared before us freshly showered, dressed in white linen shirts and slacks, and grinning from ear to ear in anticipation of the screening. While visibly excited, they showed no signs of nervousness. This would be their second public appearance; the film had already screened to a sold-out audience at Palermo’s majestic Teatro Politeama the month prior.
Omar’s playful proclamation that he “might become a doctor in Europe!” elicited widespread applause, as did much of what the three migrant youth shared on the stage that day.
Gravagna, the film’s director, also participated in the question-and-answer session, during which he restated his motives for making the film. “Thinking of the coverage on television, in the news, and most else, I realized that it was doing injustice to this population. I thought we should make something else, to help show what happens after migrant youth arrive. Migration is natural. I migrated to Rome, others have migrated to Sicily, others to elsewhere in Europe or the world. So, it is something very natural, but mistakenly perceived as an invasion or emergency. The story I wanted to show here is very different – that many organizations are intervening in a way that is intelligent and consistent with the values of solidarity.”
Since its debut in Palermo, Io Sono Qui has screened at several national and international film festivals, and garnered an award for Best Documentary Short in 2018 at the Los Angeles Film Awards. In addition, schools across Italy have shown the film to students as a means to examine stereotypes around immigration and to humanize the experiences of young people seeking better futures in Italy.
Io Sono Qui, un film che capovolge le narrative di “crisi” con le voci di giovani migranti
Di Megan Carney
(English above)
Dall’inizio del 2013, sto studiando le risposte locali alla migrazione nel mediterraneo, specificamente in Sicilia. Come antropologa, ho svolto molte ricerche sul campo con varie ONG, agenzie di governo, operatori umanitari e attivisti di base; mentre loro si organizzano attorno ad una etica di solidarietà sociale, rischiano anche di essere criminalizzati. Un aspetto di questa ricerca ha incluso l'analisi dei modi in cui i giovani migranti collaborano con lo Stato o resistono a esso ed alle sue forme di accoglienza, e anche come si realizzano pratiche di solidarietà, sia tra di loro sia con gli stessi siciliani.
“Ho iscritto nella scuola, una cosa che non ho mai potuto fare in africa. Ho finito il liceo grazie a loro. Chi sa? Domani forse diventerò un medico in Europa!” --Omar, 18 anni, ha detto agli spettatori palermitani dopo la proiezione del film Io Sono Qui, un documentario in cui lui è uno dei soggetti centrali.
Con la chiusura imminente dei centri di accoglienza in tutta Italia – come il centro a Castelnuovo di Porto che sta spostando circa 500 residenti e 100 operatori –, legata a delle modifiche della legge sull’immigrazione, è cresciuta l’ansia rispetto a dove andranno i residenti dei centri, quali opportunità esisteranno per gli operatori e che futuro esiste per il sistema di accoglienza in Italia. È precisamente in questo contesto di precarietà, unito alla ostilità verso la popolazione migratoria, che alcuni media stanno cercando di sottolineare altri aspetti di migrazione e questi stanno avendo nuovi significati. Il film Io Sono Qui del regista siciliano Gabriele Gravagna rappresenta questo tipo di media.
Il film tratta la storia di tre giovani migranti – Omar, Dine, e Magassouba – che sono arrivati in Sicilia come migranti minori non accompagnati dopo viaggi lunghissimi e difficilissimi fra il deserto del Sahara attraverso il mediterraneo. Questi giovani migranti narrano le loro esperienze della migrazione, dei centri di accoglienza a Palermo e dell’adattamento alla nuova vita a Palermo.
Il trailer per il film comincia con il racconto di uno di loro: “Non puoi capire che significa…per raccontarlo…”. Il titolo del film suggerisce già che le voci di questi tre giovani migranti formeranno la narrativa del film. Invece di presentarli come protagonisti secondari delle storie che hanno definito la maggioranza delle notizie sull’immigrazione, questi giovani migranti occupano un posto centrale nel film.
Palermo in particolare e la Sicilia in generale sono estremamente attivi nel rifiuto della legislazione del governo populista di Salvini. Nel gennaio 2019, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlanda, ha annunciato che non applicherà il nuovo “decreto sicurezza” che il governo ha approvato nel dicembre 2018, mostrando le sue preoccupazioni rispetto ai diritti dei migranti in materia di assistenza sanitaria, lavoro e istruzione. Alcuni altri sindaci in tutta Italia hanno fatto lo stesso.
Nel maggio 2017, ho assistito alla seconda proiezione di Io Sono Qui in un teatro di Palermo. Ho incontrato i protagonisti alcune ore prima, perché loro risiedevano nel centro di accoglienza dove stavo facendo la mia ricerca. Sono venuti a trovare il direttore del centro, che ha promesso di portarci all’avvenimento. Sono stati invitati a partecipare a una sessione di Q&A dopo il film. Vestiti con camicie bianche e pantaloni neri, e molto sorridenti, sono apparti molto preparati all’evento. Nonostante fossero emozionati, non mostravano nessun segno di timidezza. Questa è stata la loro seconda apparizione in pubblico. Il film aveva già avuto una proiezione sold-out al Teatro Politeama il mese precedente.
La dichiarazione di Omar che un giorno forse sarebbe diventato un medico ha ricevuto un gran applauso, come anche le dichiarazioni di altri giovani migranti.
Anche il regista Gravagna ha partecipato alla sessione Q&A, durante la quale ha ribadito i suoi motivi per fare questo film. “Occupandomi di documentari per la televisione, notiziari e quant’altro, mi rendo conto che si parla sempre male di questo argomento, o comunque passano sempre le solite immagini senza spessore. Penso che dobbiamo andare oltre, capire cosa accade dopo lo sbarco. Andando oltre, vai verso un futuro, verso una prospettiva che questi ragazzi devono avere necessariamente, perché penso che questo problema non si risolva, non credo che troveremo mai delle modifiche adeguate per evitare che avvenga una evento, tra l’altro naturale, come la migrazione. Io sono migrato a Roma, altri migrano in Sicilia, altri in Europa e in altre parti del mondo. Quindi è una cosa molto naturale, percepita ovviamente come un’invasione o un’emergenza: è un’emergenza, ma va gestita in maniera intelligente, solidale, come fanno altri centri.”
Dal suo debutto a Palermo, Io Sono Qui è stato mostrato in molti festival nazionali ed internazionali, e ha vinto un premio per Best Documentary Short in 2018 a Los Angeles Film Awards. Inoltre, molte scuole in Italia fanno vedere il film agli studenti per esaminare gli stereotipi che esistono verso l’immigrazione e per umanizzare le esperienze della gente giovane che spera in un futuro migliore in Italia.
Megan A. Carney is assistant professor in the School of Anthropology at the University of Arizona and a Public Voices Fellow with The OpEd Project. She is the author of The Unending Hunger: Tracing Women and Food Insecurity Across Borders (University of California Press, 2015) and director of the UA Center for Regional Food Studies. Her second monograph, Island of Hope: Migration and Solidarity in the Mediterranean is forthcoming. She conducts research on transnational migration in the US and Italy. Follow her on Twitter @megan_a_carney and the Collective Digital Archive of Migrant Solidarity @IOHmedandbeyond.